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    mercoledì 15 giugno 2011

    "Stadium Arcadium", Red Hot Chili Peppers


    (2006, Genere: Pop Rock, Hard Rock)

    RedHot di un altro Pianeta. Dopo "By the Way", il loro lavoro più discusso e criticato. Uscito nel 2006, è un doppio album di 14 canzoni l'uno. Il primo disco è chiamato "Jupiter", l'altro "Mars", ma l'idea iniziale era addirittura di un triplo album.
    Il nostro viaggio su Giove inizia col singolo anticipatore di tutto "Stadium Arcadium", cioè "Dani California" che segue il filone iniziato con "By the Way" (la canzone) riguardante Dani, la ragazza che canta "beneath the marquee", che ora è morta prematuramente dopo una vita di asprezze. Ma la canzone, diretta e coinvolgente, ha il valore aggiunto di un bellissimo video, molto curato, che ripercorre le tappe della storia del Rock coi Peppers intenti a imitare personaggi e movenze di svariati movimenti musicali e, di conseguenza, sociali e culturali: Rockabilly (Elvis Presley), Beat (Beatles), Psych (dovrebbero essere i Thin Lizzy), Funk (Parliament Funkadelic), Glam Rock (qua i riferimenti sono vari, David Bowie, The Stooges, Marc Bolan), Punk (Sex Pistols, The Misfits), Hair (The Poison), Grunge (Nirvana). Per quanto riguarda questi ultimi, quando nel video Anth, vestito da Kurt Cobain, canta, mimando il famoso unplugged Mtv dei Nirvana e dice "gone too fast" ("andato via troppo in fretta") è un chiaro riferimento alla morte di Cobain. E infatti poi si vede unCorsivoa candela che si spegne. Inoltre, l'assolo finale di John contiene una citazione a "Purple Haze" di Jimi Hendrix.
    Dani lascia il posto alla dolcezza di "Snow (Hey Oh)". Una volta smesso di sentirla compulsivamente ovunque, dalle stazioni radio più improbabili ai tizi più improbabili, la si riesce finalmente ad apprezzare per ciò che è realmente: una bella ballata molto ben confezionata.
    E' John Frusciante il protagonista indiscusso di SA: quasi ogni canzone contiene un bellissimo assolo di chitarra. Ma nel complesso c'è una buona armonia musicale tra gli strumenti, con Flea e Chad che dopo l'esperienza di BTW ritornano finalmente protagonisti; come si nota ascoltando brani come la bellissima "Warlocks" o "Tell me Baby", se vogliamo fare una capatina su Marte. Quest'ultima, nonostante il ritornello appiccicoso, è un ottimo pezzo slappato che si riaggancia al sound funky dei primi RedHot, come altri brani notevoli quali "Charlie" e la spassosa "Hump de Bump".

    Se esiste un vero problema in quest'album, allora risiede nella voce troppo impostata di Kiedis. Troppo pulita, persino nei pezzi rappati e tendenti al Funk. Eppure si è sempre distinta per personalità, non certo per virtuosismo. A tal proposito, il nostro Tony riacquista punti carisma con "Wet Sand", che ruba alla bella "Stadium Arcadium" il primato di ballata più intensa ed emozionante. Un po' "Venice Queen" un po' "Under the Bridge", è lei il capolavoro dell'album. Il climax finale che va a intersecarsi nell'assolo del Fruscio è incantevole, mentre recita "You don't form in the wet sant, you don't form at all". Dedicata forse ad una figura eterea simile alla donna-angelo, che non lascia le impronte sulla sabbia bagnata. "I do".
    Ottimo il Pop di "Slow Cheetah" e "Especially in Michigan" e l'hard Rock cadenzato di "She's only 18" e "Torture Me".

    "Jupiter" è un buon disco; probabilmente sarebbe bastato aggiungergli qualche pezzo di "Mars" come "Tell me Baby", "Readymade", "Storm in a Teacup e "Death of a Martian" per realizzare un ottimo album, ricco ma non strabordante, seguendo le orme di BSSM, che pure era nato come doppio cd. E magari si sarebbe potuto sostituire "If", brano noiosetto sulla falsariga di "Porcelain" o "Animal Bar", con una "Whatever we want" ad esempio, serratissima bside di "Dani California"; probabilmente sarebbe stata un'ottima outsider. Ma il pianeta rosso, che in questo caso è molto meno interessante di Giove, ha anch'esso delle cartucce da sparare: si inizia col singolo "Desecration Smile", bella ballatona Pop dal retrogusto Country, e si passa attraverso la trascinante e potente "Readymade", uno dei pezzi migliori, la ritmata e piacevole "So much I", che sarebbe stato un ottimo singolo, e "Storm in a Teacup" che, per quanto non originale (immersa nel sound di OHM), è un pezzo fantastico. Ci sono poi passi falsi, come la banalotta "She looks to Me" che, insieme a "Make you feel better" non avrebbe sfigurato nel cd precedente. Per non parlare della plasticosa "Animal Bar", tra strofe ridicole (imbarazzanti gli "ah-ah-ah") e ritornello cazzuto, non trova la giusta dimensione. Anche se Anth qui dimostra una perfetta vocalità idonea al pezzo. Si sarebbe potuto fare di più, invece, con "21st Century" che accoglie un ottimo basso di Flea, ma avrebbe raggiunto l'apice con un cantato più sporco e potente, soprattutto nelle strofe. Sorvolando su "We believe", ci accingiamo alla conclusione di questo viaggio cosmico in compagnia dei Peperoncini, spaziando tra due pianeti così simili così diversi, con "Turn it Again" e il requiem finale intitolato "Death of a Martian", dalla composizione singolare ma apprezzabile.

    Chiamateli venduti, commerciali...quello che volete. Ma questo "Stadium Arcadium" dimostra molte cose: il fatto che i RedHot, ormai quarantenni, abbiano ancora parecchio da raccontare; il fatto che se andassero meramente cercando altri soldi non scoppierebbero di canzoni come hanno dimostrato con questo album; o semplicemente il fatto che la Musica la sappiano fare. E se una volta il loro stile era più incisivo, più particolare, questo non significa che debbano trascorrere tutta la vita sbottando "True man don't kill coyotes" o inneggiando a "Party on your Pussy".

    Questo è un album importante perché i Peperoncini hanno trovato la loro strada, tra "Californication" e "By the Way". Adesso aspettiamo "I'm with You".

    Raising Girl consiglia l'ascolto di: "Wet Sand"

    "Stadium Arcadium", Red Hot Chili Peppers: 7.5

    Articoli Correlati: "I'm with You" (RHCP)
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