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    venerdì 29 aprile 2011

    Lou Reed, "Transformer"

    (1972, Genere: Glam Rock)

    Quando qualità e successo s'incontrano. "Transformer" è il secondo album solista di Lou Reed dopo l'esperienza con i Velvet Underground. Prodotto da David Bowie e Mick Ronson, l'album in questione risalta in modo particolare grazie anzitutto a tre splendide e celebri canzoni: "Perfect Day", "Walk on the wild side", "Satellite of Love". La prima fonde insieme nostalgia, bellezza, mestizia, rimpianto. Grazie a un'interpretazione incantevole, sublime e vibrante, Lou ci racconta questo e molto altro. Molti critici ritengono, infatti, che protagonista della canzone in realtà non sia una persona amata, bensì l'eroina; le interpretazioni, naturalmente, possono essere svariate e, prestando attenzioni a certi versi del brano, l'attaccamento dolente, dolce e ironico alla droga, in effetti potrebbe calzare ("Oh, it's such a perfect day/I'm glad I spend it with you/just keeping me hanging on" ovvero "Oh, è una giornata così perfetta/sono contento di averla trascorsa con te/mi fai venir voglia di restare con te", e ancora: "You made me forget myself/I thought I was someone else/someone good" cioè "Mi hai fatto dimenticare me stesso/ho pensato di essere qualcun altro/qualcuno migliore"). [http://www.youtube.com/watch?v=LxhOXGU1bAg&feature=related].
    "Walk on the wilde side" è certamente la canzone più conosciuta di Reed, grazie a un sound molto catchy. Inizia col contrabbasso e termina con un assolo di Ronnie Ross, maestro dello stesso Bowie. Ma probabilmente ormai non si fa più molto caso al testo, interessante e affascinante, che racconta la vita alla Factory di Andy Warhol, in cui circolava una fauna umana variegata e ambigua; Lou l'aveva osservata discretamente ma con attenzione. Così quell' "Holly" che s'era "rasato le gambe" e "depilato le sopracciglia", in realtà è Holly Woodlawn, un travestito che faceva parte della cerchia dell'artista come attrice. E il "piccolo Joe" che "non l'ha mai dato via per niente perché tutti dovevano pagare e pagare" rappresenta alla perfezione l'immagine di Joe Dallesandro, uno dei primi sex symbol al maschile. Questa canzone riscosse successo anche in Italia, grazie soprattutto all'interpretazione che ne fece Patty Pravo su un testo poetico scritto da Maurizio Monti, del tutto diverso dalla sensualità fulgida ma pudica dell'originale. La carezzevole "Satellite of love" è forse l'apogeo di "Transformer," e a renderla così preziosa è proprio la partecipazione del Thin Duke perché, proprio come ammesso a riguardo dallo stesso Reed, "i dettagli hanno grande importanza. Questo è il tocco in più, le sue note alte alla fine. Ha realizzato un accompagnamento fantastico. Pochi ne sono capaci. Qui David è perfetto e meraviglioso (http://www.youtube.com/watch?v=ANwzGUjAi-8&NR=1&feature=fvwp").
    Ma Bowie e Ronson non sono gli unici co-protagonisti di quest'avventura; in molte canzoni campeggia infatti il fantasma di Andy Warhol. Come nell'opener "Vicious", che possiamo dire gli fu "commissionata" proprio dall'artista.
    -"Vorrei che scrivessi una canzone che parli di qualcosa di vizioso e perverso"
    -"Vizioso tipo?"
    -"Oh be', vizioso come se io ti picchio con un fiore"
    Ed eccola qua, la canzone che desiderava il maestro della Pop Art. Ed ecco il suo spunto, proprio nel ritornello: "Vicious/you hit me with a flower/you do it every hour/oh baby, you're so vicious!="Vizioso/mi colpisci con un fiore/lo fai in ogni momento/amore, sei così vizioso". Non a caso anche la voce di Lou Reed sembra farsi più ambigua, e risalta. In primo piano insieme alla chitarra distorta, mentre l'arrangiamento e l'andamento melodico sono appositamente molto semplici. A seguire, in questa atmosfera decadente troviamo ancora lui, in una canzone che si rifà al giorno dell'attentato da parte di una squilibrata allo stesso, "Andy's Chest". Si tratta di una morbida e suadente ballata, con contorno i soliti deliziosi cori bowiani. E che dire di "Hanging' round", in cui il tocco ironico è più presente che mai. Qui Lou racconta episodi legati a persone che si sentono trasgressive o, come diremmo oggi, "alternative", ma che in verità si rendono ridicole proprio con questi atteggiamenti. Il giovane e ricco Harry, Jeanie la presunta mangia uomini, fumatrice, tutta intrisa di finto maledettismo, viziata e saccente, e la "surreale" Kathy. Ma..."you're still doing things that I gave up years ago", "Voi state facendo cose che ho smesso di fare anni fa", esordisce Lou, dandosi il giusto tono di superiorità rispetto alla mediocrità che annichilisce molte persone, soprattutto in determinati ambiti sociali. (http://www.youtube.com/watch?v=yGXNMBWsDV4&feature=related.

    Altro momento interessante di "Transformer" è "Make up", compendio dell'anima Glam che domina il momento musicale del tempo e da cui si fa conquistare anche Reed per quest'album, forse più per motivi commerciali che per vera e propria inclinazione. Non è difficile intuirlo dal titolo; qui Reed dichiara esplicitamente la propria simpatia per i travestiti ("Then comes the pancake factor number 1/eyeliner, rose hips and lip gloss"-"Quindi arriva il fondotinta Fattore Numero 1/eyeliner/petali di rosa e lucidalabbra"). O forse è solo un modo per vivere la propria omosessualità tra i lustrini del Glam ("Now, we're coming/out of our closets/out on the streets"-"Ora, noi stiamo uscendo allo scoperto/fuori dalle nostre tane/fuori per le strade"), slogan corale del Gay Liberation Front.

    Riecco Andy Warhol, in "New York Telephone Conversation", che chi era dell'ambiente sa bene quanto fosse curioso e pettegolo, capace di trascorrere ore intere al telefono. Infatti, in questo brano Lou Reed e David Bowie simulano un dialogo telefonico tra l'artista e un misterioso interlocutore. Allegra e spiritosa, non troppo originale, ma col tempo si riesce ad apprezzarne l'ironia e anche l'aspetto artistico. Perché è sì una canzone semplicissima, ma nulla è lasciato a caso. Anzi. Così come in tutti i brani di "Transformer". (http://www.youtube.com/watch?v=TR1uRoQjmx0&feature=related")

    Il Lou Reed più tipico, quello Rock'n Roll, alla "Sweet Jane" torna nella spensierata "I'm so free" per poi rituffarsi nella malinconia di "Goodbye Ladies", bellissima canzone jazzata che racconta la solitudine e la tristezza di un rapporto finito. Ma, in fin dei conti, "tutte le mie canzoni parlano di conflitti".

    Sotto l'influenza di David Bowie, che produsse questo disco per "salvare" il suo idolo dopo il flop del suo primo lavoro da solista, Lou Reed sforna un lavoro in pieno stile Glam Rock, con quel suo tocco decadente ma fluido, intenso ma triste, che caratterizzerà tutto il suo lavoro successivo, "Berlin", in cui tutte queste caratteristiche verranno accentuate e portate quasi all'estremo con eccelsa bravura. Ma è in "Transformer" che vediamo un Reed diverso, il "Frankstein del Rock", come lo stesso si definì dopo aver visto le foto scattate da Mick Rock per l'album, in cui compare col volto truccato di bianco e gli occhi circondati di nero. La foto di copertina diverrà una grandissima icona.
    Incredibilmente attuale, "Transformer" è il manifesto di quell'epoca, anni '70. 1972. E del mondo urbano di New York.
    Un classico che non può mancare alla grandi collezioni Rock.


    Raising Girl consiglia l'ascolto di: "Vicious".

    "Transformer", Lou Reed: 9

    PS: Tutti i link che compaiono nel testo rimandano a video del documentario "Transformer", che racconta la genesi del lavoro nella sua interezza e di ogni canzone nel dettaglio.

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sabato 23 aprile 2011

"Goodbye Lullaby", Avril Lavigne



Il pop delle origini. Proviamo per un attimo ad accantonare la sua immagine, la pubblicizzazione su Mtv e la linea di abbigliamento, "Abbey Dawn", lanciata dalla stessa nel 2008. E a valutarla per le canzoni. Il mese scorso è uscito


il quarto album della canadese Avril Lavigne, "Goodbye Lullaby", anticipato dal singolo "What the hell", una di quelle canzoni fastidiosamente obbedienti alle logiche di mercato, da subito grande hit radiofonica. Ma questo brano così spensierato e commerciale è un vero e proprio pesce fuor d'acqua in "Goodbye Lullaby", album in cui tornano le atmosfere pop degli esordi, semplici e spontanee, alla "Let go". Difatti pare che il singolo sia nato proprio da un contrasto con la casa discografica che, giudicando "Goodbye Lullaby" poco commerciale, abbia imposto alla Lavigne una hit sulla scia di "Girlfriend" (contenuta nel lavoro precedente, "The best damn thing") e su "Sk8r boy" in "Let go". Ma già dall'introduzione, "Black Star", una filastrocca sognante, capiamo che le cose stanno diversamente. A darcene la conferma è la piacevolissima "Push", intrisa di quelle atmosfere armoniose che chi ha consumato "Let go" non può non ricordare e apprezzare. A volte sembrerebbe ricordare proprio "Things I'll never say", eppure a ogni ascolto dà sempre qualcosa di nuovo e, soprattutto, di fresco. Proprio come la ritmata "Stop standing there". Entrambe ben lontane dalle mode pop artificiose ed elettroniche che vanno tanto di moda adesso. Infatti la lunga gestazione di "Goodbye Lullaby" (quattro anni) è dipesa molto dal fatto che la RCA Records pretendesse, per il ritorno della canadese, un sound tendente al dance. Per equipararsi alle varie Rihanna in circolazione. Fortunatamente la Lavigne ha preferito rimanere fedele a se stessa e, anzi, in tutta risposta, è tornata al pop delle origini. Quello che aveva tanto colpito sia pubblico che critica. Quello genuino del suo primo album. Ma non si tratta di una vile scopiazzatura.

Le prime canzoni scorrono piacevolmente e senza intoppi. La quarta track è "Wish you were here" che con il capolavoro dei Pink Floyd non ha niente a che vedere. Ma è una graziosa ed intensa ballata, con una ritmica molto gradevole e arrangiamenti curati. Ma di ballate Avril stavolta ce ne offre a bizzeffe. Sarà la separazione dal marito Deryck Whibley, leader dei Sum41; sarà che, a discapito delle apparenze, la nostra ha già 26 anni; sarà che questo è il quarto album e sbagliare non è concesso...ma tutte le canzoni risentono di atmosfere e testi intimistici, e sono quasi tutte acustiche. In assoluta controtendenza rispetto al pop odierno.

Un'altra ballata molto interessante è "Everybody hurts", con un ritornello bellissimo e al contempo molto catchy. E c'è da dire che qua la Lavigne canta molto bene, contrariamente ai primi anni di carriera. Con "I love you", invece, perde qualche punto: troppo melensa. Ma si risolleva con "Remember when", in cui la melodia e l'intensità interpretativa rimandano a "When you're gone". Nel complesso il neo dell'album è il songwriting, ancora troppo infantile e semplicistico, oltre che monotematico. Anche se in questo brano risulta più corposo e stimolante ("Questi sentimenti che non posso più scrollarmi di dosso/ questi sentimenti che corrono via fuori dalla porta/ posso sentirli scivolare"). Prossimo singolo sarà sicuramente la spensierata ed accattivante "Smile". Molto orecchiabile ma mai irritante.
Tralasciando episodi poco felici come le insipide "4 real" e "Not enough", i brani che rimangono sono tutti deliziosi. "Darlin" è un brano scritto dalla stessa all'età di 15 anni, senza orpelli, solo chitarra e voce. Sembrerebbe essere un discorso a se stessa, un incitamento speranzoso dopo un periodo non semplice. Ma potrebbe anche essere letto come un appello a una persona amata ("Caro, ti stai nascondendo nell'armadio un'altra volta/ adesso prova a sorridere.../ So che stai tentando di non voltarti dall'altra parte"). Uno degli episodi più alti del cd. Da segnalare anche "Goodbye" , musicalmente raffinata e ben arrangiata, ma anche qua c'è un lavoro di scrittura da migliorare. E sul finale troviamo l'extended version di "Alice" , colonna sonora del film "Alice in Wonderland" diretto da Tim Burton. Essa presenta molte belle variatio nel suo corso, il tutto in un'atmosfera onirica e gotica, e qui la Lavigne raggiunge tonalità molto alte, forse un po' urlate. Tonalità che comunque la ragazza difficilmente raggiunge dal vivo. C'è da dire che, quando abbassa la tonalità dal live, la canzone risulta più piacevole (http://www.youtube.com/watch?v=UPjhCDhEPPI).

Volendo usare un solo aggettivo per definire "Goodbye Lullaby" userei: "semplicità". Non credo che abbia tutte le carte in regola per bissare il successo dei precedenti, ma è un album a suo modo coraggioso e molto carezzevole, il che non guasta.

(2011, Genere: Acoustic Pop)
Raising Girl consiglia l'ascolto di: "Everybody Hurts".

"Goodbye Lullaby", Avril Lavigne: 6.8

Artisti simili ad Avril Lavigne: The Pretty Reckless.

giovedì 21 aprile 2011

Damien Rice, "0"

(2002, Genere: Musica d'Autore, Folk Rock)

Lo spleen cantautoriale. Approcciarsi a Damien Rice è più complesso di quanto sembri. Il suo mondo musicale è l'exploit di un certo modo di sentire tipico dei cantautori che hanno seguito la strada dell'indimenticato e indimenticabile Nick Drake, dallo stesso Rice all'altrettanto bravissimo Alexi Murdoch. "0" è il titolo del suo album d'esordio, criptico come gran parte delle raffinate canzoni che compongono l'album, album organico e omogeneo. La voce di Rice è profonda ed espressiva, rotta a tratti nell'atto di raccontare storie e sentimenti, come avviene nell'opener "Delicate" in cui, come un po' in tutti i brani, gli archi la fanno da padrone. E, proseguendo l'ascolto, non potrebbe andare meglio, con "Volcano", sublime ballata dal gusto folk e dalle atmosfere languide, violoncello a dettare la linea base della melodia e un mirabile intreccio vocale sul finale, tra la voce dello stesso cantautore e quella di Lisa Hannigan, amica e seconda voce. La seguente "The Blower's Daughter", singolo anticipatore del cd, può ben rappresentare l'esegesi del romanticismo, mentre con la ritmata "Cannonball" tornano le atmosfere in pieno stile Nick Drake. Tutte le canzoni citate, fatta eccezione per "Volcano", entrano a far parte delle colonne sonore di famose serie televisive come "Lost", "Dr.House-Medical Division", "Misfits", "OC" e "The L World". La già citata "The Blower's Daughter" viene usata nel film "Il caimano" di Nanni Moretti e fa da colonna sonora al film "The closer" di Mike Nichols.
"Older Chests" e "Cheers Darlin'" sono forse troppo tristi, ma vantano un songwriting d'eccezione. C'è da dire che nelle canzoni di Rice, caratterizzate da uno spleen intenso ed evocativo, c'è posto anche per la speranza e la fiducia; questo lo si nota bene nella significativa "Amie" il cui ritornello recita così: "Amie, vieni a farmi compagnia su questo mio muro, leggimi la storia di "0" e raccontala come se tu ancora ci credessi che la fine del secolo porterà a una svolta per me e per te". E dopo le atmosfere soffuse di "Cold Water", è da segnalare la bella "I remember", canzone country che possiamo suddividere in due parti: la prima cantata dalla voce soave della Hannigan e la seconda che apre la strada a un climax formidabile, alchimia perfetta tra il modello Buckley e il Rock anni '70. Tra chitarre distorte e urla estreme, il ritmo si fa nervoso ed energico. Lodevole (http://www.youtube.com/watch?v=mYPCYboEpmk). La conclusiva "Eskimo" ci riporta alla tranquillità; ricorda vagamente il sound delle canzoni natalizie, ma in realtà non le manca niente: la voce di Rice si alterna tra delicatezza e vigore e si insinua nella raffinatezza degli archi e nella voce lirica che compare al crepuscolo del brano.

Il limite di "o" è una sorta di eccessiva uniformità tra le varie canzoni, pur con qualche piacevole eccezione, che alla lunga può condurre al tedio. Ma non c'è di che rimproverare Damien Rice perché il suo stile è questo ed è uno stile bellissimo. Esso, tra l'altro, rispecchia il modus vivendi dello stesso cantautore, persona discreta e pienamente onesta nel suo atto di comporre musica. La cosa bella di questo album (ma anche del successivo, "09") è che la mestizia depositata in ogni brano, riesce pian piano a diventare edificante e confortante per chi l'ascolta. Una cosa che in pochi riescono a fare.

Raising Girl consiglia l'ascolto di: "Volcano".

"0", Damien Rice: 7.5

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domenica 17 aprile 2011

Linkin Park, "A thousand suns"

(2010, Genere: Elettro-Pop)

I Linkin Park, lo sappiamo, si sono fatti conoscere al grande pubblico durante gli anni 2000 come discreto gruppo crossover influenzato da nu metal e pop metal. Hanno venduto tantissimo conquistando ampie fette di pubblico con soli tre album. Ma ora andrò a parlare del loro quarto e ultimo lavoro, uscito l'autunno scorso: "A thousand suns" che, stando alle parole di Shinoda, dovrebbe essere unconcept album. Se per concept album si intende che su 15 tracce 6 sono interludi di qualche secondo a canzoni di pop elettronico, svuotato e privato da ogni senso, allora il rapper dei Lp ha ragione. Purtroppo non è così. Quando penso a concept album mi vengono in mente "Dark side of the moon" e "The wall" dei Pink Floyd, o "Storia di un impiegato" di Fabrizio de André. Quando penso a "A thousand suns" mi viene in mente solo un miracolo commerciale confezionato per il seguito di Mtv. E non mi si venga a parlare di sperimentazione, perché seguire le mode più in voga significa tutto fuorché sperimentare. Fuoché innovarsi.

D'altronde, i motivetti mainstream sono sempre stati nel sangue dei Lp ma, se mentre a "Hybrid Theory" va riconosciuto il suo indubbio valore nel genere, e il tanto criticato "Minutes to Midnight" aveva dato una svolta pop-rock non da buttare alla loro musica, ATS si rivela essere un minestrone noioso e monotono. Ma andiamo con ordine. Esso inizia con "The requiem" in cui la voce di Shinoda si trasfigura in una voce femminile per riproporci, in chiave leggermente diversa, il ritornello di "The Catalyst", primo singolo estratto dall'album e, strano a dirsi, la canzone più carina dello stesso. Ancora un altro breve quanto banale momento instrumental con "The radiance", che introduce una canzonetta pop di scarso valore: "Burning in the skies", il cui videoclip ha addirittura qualcosa di "When you're gone" di Avril Lavigne. Sin dall'inizio si capisce con cosa abbiamo a che fare. Ma proseguiamo nell' ascolto delle canzoni, ancora una volta, quasi a non volerci credere che un album di un gruppo ricco di soldi e di successo, dopo due anni di lavoro, possa risultare così profondamente infimo. "Empty Space" è appunto uno spazio musicale vuoto e vacuo di appena 18 secondi, che preannuncia l'orribile "When they come for me", la quale ha l'ambizione di fregiarsi di sconclusionate percussioni etniche. In effetti la cosa più brutta, più dell'album in sé, è il fatto che la band ritiene di aver appena realizzato un capolavoro. E questo la dice lunga. Ci sono tantissimi cantanti nel mondo che fanno pop, anche quello più commerciale, modaiolo e di basso livello, ma nessuno di loro pretende riconoscimenti che non sono dovuti. Perciò un po' di umiltà per piacere, signori Linkin Park.

Ma andiamo avanti con "Robot Boy", brano che riprende le peggiori sonorità dell'album precedente, mentre "Jornada del Muerto" è l'ennesima inconsistente anticipazione di un'altra canzone: stavolta la designata è "Waiting for the end", una canzone pop tutto sommato carina, se si togliesse lo stacco finale rappato. Qui finalmente è possibile ascoltare decentemente la bella voce di Chester. Perché se ancora non lo si fosse capito, la mente del gruppo ormai è il rapper pluristrumentista Mike Shinoda ed è lui che ha deciso la direzione di "A thousand suns". Ma questo lo si era già capito dalla sua asserzione anticipatrice e, soprattutto, rivelatrice: "Il nu metal mettetevelo in culo". Parole sante a quanto pare. In effetti l'album procede con "Blackout", raro momento in cui è possibile ascoltare la voce di Bennington, anche se più sporca rispetto a un tempo. La canzone in sé sarebbe pure accettabile, se non fosse per quella base elettronica stile gameboy che rovina tutto. Ma il bello (ehm...il brutto) non è ancora arrivato davvero. Ascoltando "Iridescent" si capisce che i Linkin hanno raggiunto ormai il parossismo della loro carriera. Sonorità emo e soprattutto i Thirty Seconds to Mars sono più vicini che mai, così come in "Fallout", che a tratti ricorda addirittura "Buddha for Mary" degli stessi. Sorpresi? No, anche l'emo va di moda. Non solo l'elettro-pop. Corsivo

Lascerei perdere il rapcore dissennato di "Wretches & Kings" e continuerei il viaggio nel mondo di questi "mille soli". Si fa per dire. Si giunge così a "Wisdom, Justice and Love", in cui su una scialba base musicale elettronica possiamo ascoltare un discorso storico di Martin Luther King. Ah già, dimenticavo! I Lp si sono dati ai testi impegnati. Ne è un esempio la conclusiva "The messenger", il cui verso iniziale recita in questo modo: "Quando senti di essere solo/tagliato fuori da questo mondo crudele/il tuo istinto ti dice di correre. Ascolta il tuo cuore (...)". Veramente impegnati. Per i tredicenni.
E dunque il cd si conclude così, con questa smielata e infantile canzone, il cui unico vantaggio è quello di poter ascoltare la voce melodica del gruppo senza troppe strombazzate elettroniche e rappate invasive. Facendo finta di non capire ciò che dice. Tutto il resto è noia. Tanta noia.

Raising Girl consiglia l'ascolto di: "The Catalyst".

"A thousand suns", Linkin Park: 3.5

Artisti simili a Linkin Park: Dead by Sunrise.

venerdì 15 aprile 2011

Noemi, "RossoNoemi"

(2011, Genere: Soul Pop)

La rossa dalla voce black. Solo 9 tracce per "RossoNoemi", secondo album in studio della 29enne Veronica Scopelliti, in arte Noemi, nove canzoni che però necessitano di un ascolto approfondito. Infatti l'album, prodotto da Corrado Rustici, dà una svolta importante alla carriera musicale della giovane, lasciandola libera di spaziare in sonorità soul americaneggianti (tra l'altro, è stato registrato a Berkeley) che ben si adattano alla sua voce black; ma la svolta è data anche dal fatto che per la prima volta (e finalmente!) Noemi collabora attivamente ai testi delle canzoni, mentre la sognante "Sospesa" è stata scritta interamente dalla stessa. Pezzo interessante, molto bello musicalmente. Anche se il songwriting è da perfezionare.
E' chiaro che Noemi sia piuttosto apprezzata nel panorama musicale italiano: già nel suo primo album, "Sulla mia pelle" aveva duettato con Fiorella Mannoia nella bella hit "L'amore si odia" e la raffinata penna di Francesco Bianconi dei Baustelle si era prestata per il brano "Per colpa tua". La storia si ripete: in"RossoNoemi" sono tanti gli artisti che hanno collaborato alla stesura dei testi: Kaballà, Pacifico, Federico Zampaglione...Ma la collaborazione che tutti ormai conoscono è quella duo Rossi-Curreri per "Vuoto a perdere", singolo anticipatore dell'album e track del film "Femmine contro maschi". La canzone si offre di raccontare la storia di una donna che acquisisce "nuove consapevolezze" personali, lasciandosi alle spalle la malinconia del passato, ma anzi facendolo diventare base per diventare più forte interiormente, senza doversi sentire inferiore a nessuno. Anche qua il songwriting non è eccelso ma anzi abbastanza tiepido, seppure molto efficace, come sempre nelle canzoni di Vasco Rossi, mentre la melodia è assolutamente perfetta. Trascinante. Nel video della canzone, una straordinaria Carla Signorinis affiancata da Serena Autieri.
Ma ci sono anche altre canzoni degne di attenzione: l'apripista "Up", compendio dell'anima R&B della voce di Noemi e dell'intero disco, l'incalzante "Odio tutti i cantanti", le cui sfumature a tratti trascendono in qualcosa di punk, e infine la punta di diamante dell'album: "Poi inventi il modo", scritta da Zampaglione dei Tiromancino. In effetti la canzone trasuda Tiromancino da tutte le parti, con un testo molto piacevole e una musicalità dolce e affascinante, assolutamente non convenzionale. Un altro interessante momento intimista arriva da "Musa", in cui Noemi dà il meglio di sé come interprete anche in veste di cantante pop.

Con "Fortunatamente" e "Le luci dell'alba", quest'ultima scritta da Pacifico, si assiste ad un crollo di originalità, entrambi pezzi molto orecchiabili e carini, ma purtroppo sanno troppo di già sentito. Anche se lo stacco finale R&B di "Fortunatamente" non è male. Con la preziosa "Dipendenza fisica", invece, la voce si colora lievemente di rock nel contesto di un sound vintage molto accattivante. Impossibile non premere di nuovo "play". L'album scaricabile da i-tunes contiene anche una bonus-track: la cover della stravagante "Altrove" di Morgan, che Noemi aveva già eseguito durante la sua partecipazione a X-Factor nel 2008.

Da notare che anche la copertina dell'album, ideata dalla stessa cantante, è ammirevole: troneggia il primo piano di Noemi, in stile 70's, e la sua chioma rossa diviene un insieme di cose e colori in cui trovano posto i titoli delle canzoni, in un'unica omogenea composizione. Lei ha affermato che in questa cover grafica "i capelli sono i prolungamenti dei miei pensieri".

Per farla breve, "RossoNoemi" è un album gradevole e la vocalità di Noemi continua a essere una delle migliori nel panorama musicale italiano degli ultimi anni. Se un album del genere fosse stato realizzato da Anastacia, già affermatissima cantante pop americana, con cui la nostra condivide non poche affinità musicali, sarebbe stato subito successo internazionale e riconosciuto. Speriamo che questo cd di Noemi, qua in Italia, venga apprezzato. Ma prima di tutto, compreso.

Raising Girl consiglia l'ascolto di: "Dipendenza fisica".

"RossoNoemi", Noemi: 6.7

Artisti simili a Noemi: Dolcenera, Nathalie, Anastacia.

mercoledì 13 aprile 2011

Foo Fighters, "Wasting Light"



(2011, Genere: Hard Rock)

Rock and Grohl! "Wasting Light" è appena uscito, ma tutti ne parlano già da mesi: campagne di marketing colossali, voci di corridoio, anticipazioni... Stavolta, però, questo gran chiacchiericcio è più che giustificato, perché i Foo Fighters non hanno deluso ma anzi, sono riusciti a realizzare un album di ottima fattura e anche più maturo ed equilibrato dei precedenti. In effetti già il primo singolo estratto faceva presagire qualcosa di positivo: "Rope", energico e piacevole, in pieno stile Foo's. Gli appassionati come me sapranno, però, che già da un paio di mesi circola in rete un video non ufficiale di "White limo", spassoso come al solito, che vede la collaborazione di Lemmy dei Motorhead. La canzone, martellante e abrasiva, potente e urlata, ha un qualcosa di heavy metal. E in effetti, tutto l'album in sé ha sonorità più heavy, più spinte, capaci di coinvolgere appieno l'ascoltatore. Basti ascoltare l'opener, "Bridge Burning" , trascinante ed energica, a mio parere uno dei più bei pezzi in assoluto della band. C'è da dire che le prime 5 tracce di "Wasting Light" sono tutte delle perle; oltre quelle già citate, troviamo, infatti, due canzoni tanto puramente Rock quanto mainstream; la specialità dei Foo's, insomma. Esse sono "Dear Rosemary" e "Arlandria": su questi due brani la voce ruvida di Grohl si adagia perfettamente, riuscendo a regalare un tormento musicale sensuale e inebriante, deciso e voluttuoso al contempo. Un po' come ci accadeva anni fa ascoltando la bellissima "Everlong".
Andando avanti, l'aggressività cala un po', in brani come "These days" e le efficacissime "Black & Forth" e "A matter of time". Ciò che non cala è la qualità delle canzoni. Anzi. "Miss the misery" è incredibilmente trascinante, mentre "I should have know" è il perno di un sincretismo musicale di altissimo livello, che prende un po' di buona musica (sono chiare le influenze 70s) e la rielabora in modo assolutamente proprio e non banale. Forse il brano più bello dell'album, a cui non manca niente, neanche un bel retrogusto di archi. E alla fine i Foo Fighters ci accompagnano con la finale "Walk", semplice, diretta, brusca, espressiva, dura. Quale miglior modo per concludere questo piccolo capolavoro?

In "Wasting Light" non vi è nulla di inerme: queste undici canzoni rappresentano l'abbraccio avvolgente di un onesto turbinio musicale: il Rock. Il Rock così come ce lo eravamo quasi dimenticato, poiché scomparso in questi ultimi anni, prevaricato da pop radiofonico di scarso valore e da incoerenza elettroniche volte a compensare cali di estro creativo. Un album onesto e ispirato di chi ha tanta voglia di fare musica. Non a caso la dimensione naturale dei Foo Fighters è proprio quella live.
E se vi sembra che stia esagerando, correte subito ad ascoltarlo e mi darete ragione. Dopodiché potrete constatare che la validità di "Wasting Light" è stata subito riconosciuta da tutti: ad esempio, il celebre magazine musicale "Spin" lo valuta 9/10 (http://www.spin.com/reviews/foo-fighters-wasting-light-roswellrca) e David Ficke, caporedattore e giornalista per l'ancor più celebre "Rolling Stone" (America) lo definisce il miglior album dei Foo's dai tempi di "The colour and the shape": http://www.rollingstone.com/music/news/reviewed-foo-fighters-best-album-in-years-young-bob-dylan-in-concert-20110412.
Da ascoltare. Da collezionare. Perché merita davvero tanto, un lavoro musicale mirabile e impeccabile, uno dei migliori degli ultimi anni. Agli appassionati consiglio, inoltre, questa intervista a Dave Grohl, con tanto di finale con "Rope" dal vivo: http://www.rockshock.it/foo-fighters-video-intervista-e-nuovo-singolo/

Raising Girl consiglia l'ascolto di: "Bridge Burning".

"Wasting Light", Foo Fighters: 8.7
Artisti simili a Foo Fighters: Queens of the Stone Age, Nirvana.

lunedì 11 aprile 2011

Britney Spears, "Femme Fatale"

(2011, Genere: Dance pop)

Il ritorno della principessa del pop? Britney Spears torna alla carica con un nuovissimo album, "Femme Fatale". Britney Spears o chi per lei, visto che la 29enne qui non fa niente: non ha scritto mezza melodia, né partecipato alla stesura dei testi (non che fosse difficile, vista la portata di profondità degli stessi). E non si può neanche dire che canti. E' giusto che un'artista si evolva e sperimenti qualcosa di nuovo, ma qua manca proprio lo stile semplicemente pop privo di fronzoli con cui, piaccia o non piaccia, la Spears aveva fatto la storia del genere, manca l'innovazione e, soprattutto, manca proprio la sua voce; oramai oscurata da strumenti elettronici, neanche la si riconosce più. Insomma, per il suo grande rientro, la principessina ha scelto la via più facile: quella di omologarsi alla moda dance-pop del momento che vede i suoi massimi esponenti nelle varie Lady Gaga, Rihanna,Corsivo Heidi Montag, Katy Perry, Kesha...E proprio Kesha è la co-autrice della prima traccia dell'album: "Till the world ends" e devo dire che la sua mano in questa tamarrissima canzone si sente eccome, soprattutto nel ritornello costituito da cori da stadio e nulla più. Arriviamo poi a "Hold it against", primo singolo estratto e, nonostante tutto, uno dei brani più interessanti dell'intero album. La parte melodica e il ritornello in sé facevano ben sperare in una qualche influenza melodica e dubstep, ma anche qua il resto è una tamarrata dance. E il parlato stile Lady Gaga nello stacco finale della canzone fa inorridire. Non ci sono mezzi termini. I video di entrambi i singoli, poi, parlano chiaro: Britney in gran forma (fisica) tra trucchi, profumi, stacchetti sensuali e provocanti, vestiti, uomini e feste, con tanto di palese pubblicità a prodotti di marca come Makeupforever e Sony. Nulla di nuovo insomma. Anzi.

Nel complesso, questo "Femme Fatale", che vede come produttori esclusivi Max Martine e Dr.Luke, ha ben poco di nuovo: "How I roll" rimanda a "Friday" di Rebecca Black e il parallelo parla da sé; "(Drop dead) Beautiful" è in perfetto stile Rihanna, "Trip to your heart" si muove sullo stesso terreno di "She wolf" di Shakira, soprattutto nel ritornello. Con "Gasoline" si tenta un ritorno alla sensualità di "Toxic", soprattutto nel falsetto, ma tutto appare molto costruito. "Trouble with me" sembra appena uscito dal repertorio dei Black Eyed Peas, così come "Big fat bass", scritto e cantato insieme a Will.I.am dei Bep, appunto, che è anche uno dei mille produttori dell'album. Guarda caso. E "Criminal" ha qualcosa della bella "Cry me a river" della sua vecchia fiamma Justin Timberlake, soprattutto nel ritornello. Insomma, tutto il contrario di ciò che la Spears aveva anticipato: http://britneyinmyheart.altervista.org/intervista-v-magazine/
Tra le altre tracce troviamo la trash "I wanna go", talmente martellante da essere il probabile prossimo singolo, e "Seal it with a kiss", altrettanto ballabile quanto trascinante. L'unico brano che si salva veramente è "Inside out", un ottimo pezzo dubstep. Per quanto riguarda i testi delle canzoni, invece, è meglio lasciare perdere: quasi trentenne, Britney crede di essere ancora un'infantile diciassettenne.

Quest'album farà certamente guadagnare alla Spears fior di milioni poiché cavalca l'onda di un'insulsa moda, associata al suo celebre nome, e il binomio è grande. Ma, come tutte le mode, prima o poi svanirà. Effimera. E non dimentichiamo che, nel campo musicale in questione, la concorrenza è tanta e molto accanita. "Femme fatale" farà felici i suoi fans, ma non gli ascoltatori di buona musica. E' un album vuoto e insipido, da club banger, nient'altro. Buono per la discoteca. Buono per le feste. Monocorde, monotematico. Mono, punto.

Raising Girl consiglia l'ascolto di: "Inside Out".

"Femme Fatale", Britney Spears: 4.5

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domenica 10 aprile 2011

David Bowie, "Diamond Dogs"

(1974, Genere: Glam Rock)

"This ain't Rock'n'Roll. This is Genocide". 1974. Ennesima avventura del pluritrasformista David Bowie, stavolta ispirato da "Ragazzi selvaggi" di William Borroughs e "1984" di George Orwell. Vorrei iniziare con una considerazione, dicendo che in tutti gli album del Duca Bianco è possibile riconoscere una costante comune: la dicotomia futuro-passato è suggellata da una piena armonia, in cui questi aspetti fondamentali della sua musica convivono completandosi l'un l'altro. Perché lo slancio avveniristico è marcatissimo in Bowie più che in qualunque altro artista musicale, ma non c'è futuro senza passato. E ne è la prova il fatto che qui il cantante sembra piuttosto occupato nel ricercare la modulazione perfetta, manieristica e quasi ridondante della voce (e ci è certamente riuscito), cosa a cui non ci aveva abituato prima, pur avendo sempre sfoggiato grandi doti vocali ed interpretative. Ma il progetto è ambientato in un ipotetico e quanto mai vicino futuro post catastrofe atomica.
"Diamond Dogs" è composto da 11 ottime canzoni, ma "Future Legend" in realtà può essere letta come una vera e propria introduzione a questo concept album. Fino alla track 5 parrebbe quasi di ascoltare un'unica lunghissima canzone: "Diamond Dogs" inizia tra schiamazzi e applausi e si prolunga più del necessario, ma un po' di rock'n roll duro e crudo, anche se in stile Rolling Stones, non fa mai male. Cadenzata, si fa strada "Sweet Things", in cui vengono accentuati molto sia i toni bassi (Brian Molko prende appunti) sia quelli alti e potenti; si tratta di un brano old style, ma il reprise si apre ad una conclusione futuristica. (http://www.youtube.com/watch?v=BQvmmRHPiYA). E' "Rebel Rebel" a svoltare pagina, ambigua e sbarazzina, ottima per l'hit parade, fu infatti il brano anticipatore dell'album. Il brano che racchiude un'intera generazione, bowiana e non solo. Quando il giovane David Robert Jones iniziò ad appassionarsi alla musica, il suo obiettivo fu dapprima quello di diventare "l'Elvis britannico", e in "Rock'n Roll with me" il sogno s'avvera grazie a una ballad intensa in pieno stile rock'n' roll, tanto per cambiare. Ma è con "We are the dead" che compare una sorta di interessante asincronia tipica del Bowie più famoso, con tanto di controcori sul finale. A tratti sì, un po' macabra. Forse troppo lungo il testo. Il bello del Duca Bianco è che riesce sempre a trasfigurare se stesso in ogni canzone, riuscendo a sprigionare fascino irresistibile anche in una canzone come "1984" attraente e ambiziosa, ma in fondo non originale. La ripetizione ossessiva del titolo sul finale non può non rimandare alla mente il monito disperato di "Five years".
I due brani che concludono "Diamond Dogs" sono assolutamente diversi tra loro: da una parte la trascinante"Big Brother", con interessanti giochi vocali nel bridge, dall'altra la sperimentale "Chant of the Ever Circling Skeletal Family", simile in qualche modo nello stile a "Fascination", ma meno gradevole all'ascolto.
Album importante e interessante; forse l'orecchiabilità estrema di "Rebel Rebel" farà storcere il naso ai rocker e ai bowiani più puristi, ma nessuno che si sia avvicinato a David Bowie per il suo controverso e indiscutibile fascino potrà rimanere deluso da "Diamond Dogs".
La bizzarra figura fulva che campeggia in copertina (illustrata da Guy Peellaert), rappresenta Bowie metà uomo, metà cane, ed è già un presagio dell'oscuro e disorganico contenuto di questo intrigante lavoro musicale.

Raising Girl consiglia l'ascolto di: "Sweet Things".

"Diamond Dogs", David Bowie: 7.5

Artisti simili a David Bowie: Lou Reed & Velvet Underground.

martedì 5 aprile 2011

Skin, "Fleshwounds"

(2001, Genere: Rock Melodico)

La pantera della melodia.
Intraprendere la carriera solista per una che come Skin ha fatto parte di una band alternative rock capace di dare grandi soddisfazioni, gli Skunk Anansie, non è cosa semplice. Eppure l'esordio della pantera, "Fleshwounds", ha esito positivo. Si tratta di un album più che buono, che la stessa Deborah Dyer definisce come un "ritorno alla voce". Questo, in effetti, si percepisce già dalla prima traccia, "Faithfulness", la canzone più conosciuta dell'album e secondo singolo. Le prime strofe sono costruite proprio in modo tale da mettere in luce le capacità vocali della cantante per poi scoppiare in un ritornello rock, che serba anche un bel gusto elettronico. Il tutto accompagnato da un videoclip che gioca sui toni del bianco, del nero e del magenta e con la figura atletica di Skin (http://www.youtube.com/watch?v=DnLwK_UKg-0). E si arriva così a "Trashed", singolo d'anteprima dell'intero album: pezzo più che azzeccato, trattandosi del giusto compromesso tra eleganza e grinta, qualità che hanno sempre contraddistinto Skin. Ma "Fleshwounds" non è una replica di quanto già ascoltato con gli SA, è un disco in cui ogni canzone ha un senso preciso e non è inserita a mo' di riempimento. Soprattutto, però, è un album in cui sono tante bellissime ballate a farla da protagonista. Tra queste, le prime due che incontriamo sono ricche di delizioso spleen: "Don't let me down", la cui tematica rimanda a una sofferenza d'amore ("I can't abuse your lust for life and the choises you choise...why have we broken now") e si ricollega a quella dell'altrettanto bella "Lost", ("you were a dream to me, now you're nothing but a heart that bleeds"), certamente uno dei migliori pezzi dell'album. Ma tra le due ballate è stato strategicamente inserito un brano più rock e sperimentale, che irrompe in questa docile atmosfera e a tratti ricorda le sonorità di "Post Orgasmic Chill", "Listen to yourself". Anche "Getting away with it" è più tirata rispetto alle canzoni rimanenti: tra queste, troviamo "The trouble with me", ballata molto easy che sarebbe stata perfetta come singolo, ma non risulta all'altezza degli altri pezzi lenti come "Burnt like you", "I'll try" e "You've made your bed", quest'ultima contaminata qua e là dall'elettronica. Discorso a parte merita la canzone conclusiva dell'album, "'Til morning", capace di dare vita a chi la ascolta a sensazioni non solo spirituali ma anche fisiche piacevoli e delicate. E' triste ma soave. Quella tristezza che in qualche strano modo riesce a regalare un sorriso, seppur malinconico. Quella tristezza che attraversa dentro. Che pervade ma non invade. Capita che in alcuni momenti riesca a perforarti i pensieri, sempre in modo soave però ("Take these sore eyes, I've no use for them"). Ti ritrovi a pensare e addirittura a soffrire veleggiando sulle note morbide e leggere di questo piccolo capolavoro: http://www.youtube.com/watch?v=IW4eiJ-liGQ

Non sono sicura che i fans accaniti dei primi Skunk Anansie apprezzino più di tanto questo lavoro, ma sono certa che concorderebbero con me nel definirlo un ottimo risultato per Skin e il mondo musicale di questi ultimi anni.

Raising Girl consiglia l'ascolto di: "Lost".

"The fleshwounds", Skin: 8


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Artisti simili a Skin: Skunk Anansie, Anouk.

lunedì 4 aprile 2011

"Meds", Placebo




Baby did you forget to take your meds?
E' proprio la titletrack di quest'album dei Placebo a sintetizzarne l'essenza. Tredici brani tormentati, conturbanti, ossessivi, sensuali. Morbosità è la parola chiave. Solitudine, droga, sesso, confusione, i temi predominanti. "Meds". Ad affiancare Brian Molko in questa prima canzone è Alison "VV" Mosshart, che contribuisce a rendere il sound più inquietante, nel caso non lo fosse abbastanza. Nel videoclip, l'androgino cantante si muove tra immagine distorte e allucinazioni; l'impressione generale che se ne ricava è molto dark. Così come molto dark è anche "Space Monkey" in cui però le sonorità elettroniche sono già esplicite e ben coniugate all'essenza rock del trio. Anche in "Infra-red" la vena elettronica, da sempre presente nel gruppo, è molto accentuata, ma la canzone ha il retrogusto dell'hit parade radiofonica e perde in originalità, cosa che accade anche nella monotona "One of a kind" e nella banale ballad "Follow the cops back home", quest'ultima sulla scia di "Blind" che, però, appare più spinta ritmicamente e, di conseguenza, più piacevole. Ci fa tirare un sospiro di sollievo l'ossessiva filastrocca musicale al piano, che riesce a unire la particolare voce di Molko e quella bellissima e altrettanto riconoscibile di Michael Stipe, leader degli R.E.M. Sto parlando di "Broken Promise". Da segnalare anche la criptica ed oscura "Post blue" ("I break the back of love for you") e le esplosive "Because I want you" e "Drag", molto dirette e prive di fronzoli. Stupisce "Pierrot the clown", che entusiasma per la sua lievità e il testo molto profondo, al limite della disperazione ("I'll wallowing in sorrow wearing a frown, like Pierrot the clown"). L'ho ascoltata anche in versione acustica e la trovo ancora più toccante, quasi tagliente. "Meds" si chiude in bellezza con "In the cold night of morning" e "Song to say goo
dbye". La prima è certamente uno dei pezzi più significativi dell'album, un pezzo lento ma non usuale, seppur semplice. E sicuramente per la sua semplicità è stato spesso sottovalutato. Sempre intenso nelle parole, si offre di raccontare quanto possa essere tormentato il rapporto con se stessi ("Staring back from the mirrors/a face that you don't recognize/it's a looser, a sinner, a cock in a dildo's disguise"). Per quanto riguarda "Song to say goodbye", al tempo fu scelto come singolo in Europa (mentre per il Regno Unito la scelta ricadde su "Because I want you") quindi mi sembra inutile parlarne più del dovuto tanto l'abbiamo ascoltata: canzone carina, niente di che ma molto orecchiabile senza scadere nel commerciale, anche se ricorda molto il capolavoro "Sleeping with ghosts" dell'omonimo precedente album. Magari sarebbe più opportuno dire che il videoclip che l'accompagna è terribilmente toccante, se non proprio strappalacrime.
Concludendo, "Meds" non offre agli ascoltatori nulla di nuovo, anzi. E ha molti limiti, primo tra tutti il fatto che, ancora una volta, non si capisce quale direzione musicale i Placebo vogliano intraprendere, risultando confusionari e altalenanti. Ma è un disco che va ascoltato. Osservato. Vissuto. Compreso. Perché è più complesso di come appare. E non potrà deludere gli amanti del genere, tantomeno i fans del gruppo.

Raising Girl consiglia l'ascolto di: "Meds".
(2006, Genere: Electro Rock, Alternative Rock)

"Meds", Placebo: 7.5

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Collapse into now, R.E.M.

(2011, Genere: Pop Rock)

Collasso della celebre band.
R.E.M. Carriera quasi trentennale, la band di Athens ritorna. Per chi si aspetta un disco indie, underground, alternativo o qualcosa del genere, allora è meglio che cerchi qualcos'altro. Perché "Collapse into now" ha un mood pop-rock, ma contiene brani molto diversi tra loro a tal punto che non si capisce in che direzione vogliano andare: parecchi i riferimenti elettronici e le comparsate acustiche. Sono stata attratta da quest'album grazie al primo singolo, "Uberlin", meravigliosa e dolce canzone che in qualche modo ricorda vagamente "Space Oddity" di David Bowie ("hey now take your pills"...). Il viaggio di "Uberlin", però, più che rappresentare un iter spaziale, è l'elaborazione di un tragitto quotidiano ("hey now, make your breakfast, comb your hair and off to work") che termina nell'aere della fantasia ("my imagination runs away", "I'm flying on a star into a meteor tonight"). Il videoclip del singolo è stato girato a Bricklane, quartiere di Londra, da Sam Taylor Wood ed è tanto particolare quanto interessante e gradevole. Protagonista Aaron Johnson, già John Lennon in "Nowhere boy". L'album si apre con "Discoverer" e "All the best", due brani di rock duro e puro che richiamano gli anni '70. E si continua con un pezzo lento, "Oh my heart", in cui finalmente la voce di Stipe risalta in tutta la sua ammirevole bellezza. La canzone è poetica, anche emozionante, musicalmente interessante, con un bel refrain corale. I problemi arrivano dopo. L'album dovrebbe vantare tre collaborazioni illustri, ma risultano tutte deludenti. "It happened today" comprende uno scialbo quanto inutile cameo di Eddie Vedder. La canzone è orecchiabile ma del tutto insipida, come a cercare un risvolto più alto che però non arriva mai. Esattamente come nell'insignificante "Me Marlon Brando and I". Si passa dunque a "Every day is your win", una sorta di ninnananna in cui la voce del leader appare metallizzata, quasi indecifrabile, celata dietro questo muro di strana elettronica che confonde, mentre con "Mine smell like honey" tornano le sonorità dei R.E.M. passati. "Alligator Aviator Autopilota Antimatter", con Peaches, è l'unica collaborazione decente dell'album; brano veloce ma niente di che. Fortuna che subito dopo ci pensa "That someone is you" a risollevare le sorti del disco. Semplice ma non banale. Semplice ma banale, invece, "Walk it back", anche se piacerà certamente alle radio. Probabilmente tutto il disco piacerà alla radio. In fondo, è catchy, facile da ascoltare e da ricordare. In realtà è ricco di dettagli che fanno la differenza, perché gli R.E.M sono ottimi musicisti anche dopo tutti questi anni di carriera. Ma l'impostazione del disco presuppone, purtroppo, un ascolto superficiale. E, purtroppo, delude.
Quello che dovrebbe essere il capolavoro assoluto di "Collapse into now", in realtà è una canzone fiacca, già sentita; "Blue", in collaborazione con Patti Smith, in chiusura del disco. L'alchimia tra le due fantastiche voci dovrebbe essere straordinaria, ma non lo è, perché il brano è un plagio ("Murder Mystery" Velvet Underground) e un autoplagio ("E-bow the letter" R.E.M). E non sorprende più. Non può sorprendere un brano del genere, perché ora non è più una prova di grande sperimentalismo avanguardistico nel campo della musica indie. Ora, solo una banalità.
Mi ha sorpreso il fatto che nelle ballad, fatta eccezione per la già citata "Uberlin", manchi lo spessore artistico ed emotivo, nonché l'elegante songwriting di "Everybody hurts", "Leaving New York", "Loosing my religion"...
Insomma, "Collapse into Now" è un album discreto, piuttosto manieristico direi. Si fa ascoltare, ma non rende onore a un grande gruppo musicale come gli R.E.M. da cui, causa la loro straordinaria carriera, ci si aspetta molto, molto di più.

Raising Girl consiglia l'ascolto di: "Discoverer".

"Collapse into Now", R.E.M.: 6

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Artisti simili a R.E.M.: Police, U2.

domenica 3 aprile 2011

"In punta di piedi", Nathalie




(2010, Genere: Pop, Musica d'Autore)

La nuova Elisa?
Mi sono già occupata di questa giovane cantautrice recensendo il suo album d'esordio, "Vivo Sospesa". E torno a farlo adesso perché credo ne valga la pena. Ma stavolta parlerò dell'ep registrato all'uscita di X-Factor, il quale prende il nome dalla splendida canzone che l'ha portata alla vittoria e al successo: "In punta di piedi". Essa è anche la prima canzone contenuta nell'ep. Poche lievi note al pianoforte e il brano, delicato e intimistico, inizia sussurrando. La ricerca della speranza, della fiducia reciproca, la sensazione di sospensione che si prova in determinati momenti di una relazione, "le parole lontane dal cuore", le paure "immotivate, congelate"...poi i nodi "già si sciolgono" e alla speranza si accompagna la verità dei sentimenti, raccontanti senza retorica e svenevolezze. Ed è sulla fiducia che la bella e sopranica voce di Nathalie termina questo piccolo gioiello, interamente scritto e composto dalla stessa. Anche se la versione live, priva di ritocchini digitali, è di gran lunga migliore dell'album version. Ma l'ep contiene quattro cover scelte tra quelle interpretate sul palco di X-Factor: si parte con il singolo d'esordio di "Under the Pink" di Tori Amos, cioè "Cornflake Girl". La giovane cantautrice, essendosi formata anche sulle note della Dea Rossa, non ha difficoltà nell'interpretare questo brano con professionalità e la dovuta veemenza. Segue "Tu che sei parte di me", di Pacifico (il quale aveva scritto un pezzo per Nathalie in occasione della finale di X-Factor) e Nannini, brano che calza perfettamente con le doti vocali e interpretative della giovane. L'interpretazione di "Fortissimo" (cantata da Rita Pavone) farebbe impallidire anche la splendida cover realizzata da Mina. Nathalie quivi riesce a coniugare potenza vocale ed eleganza. L'ep si conclude con una bella versione di "Piccolo uomo" della compianta Mia Martini.
Ciò che lascia l'amaro in bocca è il fato che l'ep si concluda con sole cinque canzoni, quando durante il programma Nathalie ne ha interpretate a decine e tutte molto bene... "Time is running out" dei Muse, "Bette davis eyes" di Kim Karnas, "America" di Gianna Nannini...ma soprattutto, si sarebbe potuto optare per la meravigliosa ballad degli Skunk Anansie, "You follow me down" che Nathalie ha cantato la sera della finale in duetto con la stessa Skin. O, meglio ancora, "Blue" di Joni Mitchell, di cui la cantautrice, accompagnata al pianoforte da Morgan, diretto dal maestro Tafuri, ha dato prova di straordinaria classe. Un raro esempio di alto momento televisivo. Per chi non l'avesse ascoltata, ne consiglio vivamente l'ascolto su Youtube.

Raising Girl consiglia l'ascolto di: "In punta di piedi".

"In punta di piedi", Nathalie: 7

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Artisti simili a Nathalie: Fiona Apple, Elisa, Skin.

"L'amore non ha fine", Valentina Giovagnini



(2009, Genere: Pop, Celtic Pop)

Nei silenzi di Valentina. La triste avventura di Valentina Giovagnini hai inizio nel 1980 e conosce il suo esodo nel 2009, quando la giovane muore in un incidente stradale. La cantante aveva pubblicato un primo album nel 2002, "Creatura nuda", contenente la sanremese "Il passo silenzioso della neve" e stava lavorando al secondo prima che una morte prematura la raggiungesse. Nel maggio 2009 esce, postumo, il secondo e ultimo album della Giovagnini, intitolato "L'amore non ha fine", che prende titolo, simbolicamente, dalla prima traccia dell'album e i cui ricavati sono devoluti dalla famiglia in beneficenza. La canzone è un'intensa ballata pop con contaminazioni celtiche e un refrain vigoroso in quanto a struttura ritmica; il crescendo di emozioni è accentuato dalla presenza del tenore Aldo Caputo sul finale e dal videoclip che accompagna il brano, l'ultima apparizione della cantante.
L'album scorre avanti, trasportandoci in meravigliosi universi fatati, come in "L'altra metà della luna" ("la parte in ombra di me aspetta il sole che è in te") e l'emozionante "Continuamente" ("in ogni istante infinite vite avrò"). E' con "Voglio quello che sento", però, che la sua voce amabile si colora di etnia, con un particolare riferimento all'India e all'Arabia. Molto folkloristica anche "Ogni viaggio che ho aspettato", brano dal ritmo irresistibilmente movimentato, in cui compare anche la cornamusa. Valentina amava sperimentare e ascoltandone le canzoni ciò risulta chiaro: non ci vuole un grande orecchio a notare, per esempio, che le strofe di "Non piango più" poggiano sulle note del tango argentino. Anche se poi il ritornello esplode in un ineffabile urlo quasi disperato ("pioggia d'estate"), che viene accompagnato da distorsioni musicali sul finale. Seguono, poi, altre melanconiche melodie: "La mia natura", alle cui parole è impossibile non dare valore evocativo ("la mia natura è andare via tra vita e sogno"), e "Bellissima idea", splendido canto liberatorio , soave e poetico nella sua essenza pop, in cui la sua voce sembra ancora più curata nei dettagli; un po' come in quello che è senz'altro uno dei capolavori di quest'opera, cioè "Sonnambula" (ennesimo e ultimo brano della Giovagnini escluso dal Festival di Sanremo), in cui la voce, frattanto che racconta una poesia sognante, raggiunge toni simil sopranici. La melodia si libra in un elegantissimo refrain, con cori che sembrerebbero provenire proprio da un bosco incantato. In "Non dimenticare mai" la sottile disperazione nella voce fa sì che essa s'innalzi, eterea e soffusa, mai stridula, sempre dolce, in una canzone al limite dello strappalacrime. Ma accanto a queste canzoni molto sofferte, si fa strada "Nei silenzi miei", orecchiabile e radiofonica, che sarebbe stato un ottimo tormentone estivo di quell'anno.
L'album si conclude con due cover molto ben riuscite: "Hallelujah" di Leonard Cohen, e "Somewhere over the windown" di Harold Arlen e E.Y.Harburg, già interpretata da artisti di calibro internazionale e grande spessore artistico e vocale quali Ella Fitzgerald, Tori Amos, Ray Charles, Aretha Franklin e Joe Satriani.
Nel complesso, in tutte le canzoni risalta chiaramente una consonanza tra voce e musica, tra idee e interpretazioni. La parola chiave è "armonia".

Raising Girl consiglia l'ascolto di: "Sonnambula".

"L'amore non ha fine", Valentina Giovagnini: 8

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Artisti simili a Valentina Giovagnini: Paola Turci, Nathalie.

By the way, Red Hot Chili Peppers




(2002, Genere: Soft Rock, Pop-Rock)

By the way, I tried to say...che in fondo non è male. Sì, è vero, i RedHot stavolta hanno preso un bello scivolone. Ma non potete dire che si siano venduti al facile pop; in fondo la svolta melodica era iniziata qualche anno prima, già in "Californication", capolavoro secondo solo a "Blood Sugar Sex Magic". Forse tra i fan dei peperoncini ci si aspettava una meravigliosa chimera coi RedHot impegnati in un album certamente crossover, ma diverso dai precedenti. Impresa difficilina, non credete? Se avessero creato un album vecchio stile, probabilmente i paragoni sarebbero stati impietosi. Molto meglio, invece, voltare pagina e cimentarsi con qualcosa di nuovo. Nonostante "By the way" non sia un capolavoro.
Il singolo omonimo che traina l'intero album, in realtà è fuorviante perché accenna al sapore antico dei Peppers, ma quel ritornello martellante è come un cane che si morde la coda. Poi però arriva la sbarazzina "Universally Speaking" e l'atmosfera si distende, non c'è pop che fagocita rock o viceversa, ma solo una bella canzone estiva alquanto gradevole. E più o meno così va avanti l'intero disco, di cui è da segnalare che sono le ballad lente, dolci, malinconiche, dolenti ed evocative il vero punto forte. Le più riuscite. In fondo i RedHot sono anche i RedHot di "Under the bridge", "Scar Tissue" e "Road Trippin", giusto? Quindi non c'è di che stupirsi se "Tear" rapisce come poche, "Dosed", intensa ed emozionante, commuove, The zephryr song" catalizza l'attenzione e il buon gusto di chi l'ascolta e "Midnight" è indiscutibilmente attraente. Solo "I could die for you" delude. Poco importano i riferimenti a Beach Boys, Beatles e al symph pop; quest'album contiene pezzi davvero importanti, quali, ad esempio "Don't forget me", ibrido ben riuscito di pop e rock, il funk plastico di "Throw away your television", la fantastica "Can't stop", giusto compromesso tra passato e presente, e il rock molto melodico che attinge ad antiche ricordanze rapcore di "Minor thing". E mi sembrano sterili le critiche negative nei confronti di brani come "Don't forget me"che, essendo molto ben strutturato ritmicamente e musicalmente, fa davvero la differenza. O la movimentata "On Mercury", o ancora la maestosa dolcezza di "Warm Tape". Il rock annacquato di "This is the place", poi, può piacere come può non piacere. Sono gusti. Io la trovo gradevole. "By the way" si chiude con la chitarra inquietante "Venice Queen", convulsa nella sua amabile affabilità, inizia in un modo e si conclude in un altro, tra cori stile anni '60 e schitarrate alla "Breaking the girl". Da dimenticare, invece, la "messicana" "Cabron", certamente molto orecchiabile e simpatica. Troppo.
Insomma, un album di svolta con alti e bassi, ma ricco di buona musica. E non è detto che quest'album non debba piacere ai fan di vecchia data dei Peperoncini (io sono una di quelle!) Consigliato a chi ama le ballate retrò e la buona musica da ascoltare in viaggio.

Raising Girl suggerisce l'ascolto di: "Can't stop".

By the Way, Red Hot Chili Peppers: 7+

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